Monday, October 26, 2009

La strategia aziendale nel network

L’approccio tradizionale alla strategia aziendale ha come unità di analisi la singola impresa, intesa in senso microeconomico come sistema di produzione. Un simile focus non abbraccia la complessità ambientale in cui le organizzazioni normalmente agiscono e fallisce dal punto di vista positivo nel descrivere come effettivamente si muovono. Snehota e Hakansson (1989) ricordano in un contributo seminale, da cui traiamo ispirazione per questo post, che “no business is an island”. Le imprese sono immerse in una rete di relazioni con fornitori, distributori e numerosi altri attori. La maturità di molti mercati nei paesi sviluppati significa consumatori finali più disincantati, con meno incertezze, più sofisticati. Il ciclo di vita di molti prodotti e di conseguenza delle tecnologie che incorporano viene compresso, provocando una pressione temporale sulle imprese. Inoltre, le offerte diventano sempre più complesse e ricche di tecnologia. Poi, c’è il trend della globalizzazione che aggiunge ulteriore pressione competitiva, ma anche molte opportunità. Le imprese, quindi, "esplodono". Iniziano a fare outsourcing ed offshoring perché non è possibile controllare tutte le tecnologie necessarie per un creare un’offerta di valore. Queste considerazioni valgono per i mercati B2C e B2B. Nel contesto descritto, quindi un’impresa è caratterizzata dal portafoglio di relazioni che detiene. Ed in ogni relazione, i risultati dipendono dal comportamento di entrambe le parti. Tutto è path dependent, frutto della cooperazione o del conflitto, delle reciproche posizioni, dei commitments. Fornitori ed imprese clienti si stendono una serie di fili: i legami tra le persone, l’interdipendenza tra le risorse ed i collegamenti tra le attività. Le offerte, nel marketing B2B, presentano infatti un elevato grado di customizzazione, ma in una relazione gli adattamenti sono giocoforza reciproci. Hakansson e Snehota descrivono i fardelli delle relazioni di business: stickiness, perdita di controllo, incertezza, elevato impiego di energie (costi e tempo), esclusività. Adottando quest’ottica olistica, bisogna quindi rivedere il concetto di strategia aziendale. Da una parte, gli adattamenti dell’offerta, ad esempio, rischiano di portare ad uno strategic drift, cioè di allontanare l’impresa dalla strategia dichiarata. Dall’altra, i legami e le interdipendenze con altre imprese, forgiano la struttura, le risorse, le tecnologie, i processi e quindi la strategia aziendale. Richiamando la distinzione operata da Mitzberg (1987) tra emergent e deliberate strategy, quindi è possibile concludere come la strategia aziendale realizzata sia in realtà il frutto della posizione dell’impresa all’interno di un network. Le relazioni con altri attori influiscono sull'efficienza e sui confini organizzativi. Definire la strategia significa quindi gestire il portafoglio di relazioni esistenti, senza cadere nell’errore di credere che sia possibile organizzarsi meccanicamente per il network "management". Le relazioni diadiche, infatti, non sono per definizione “gestibili” da nessuna delle due parti singolarmente, ma sono l’esito del comportamento congiunto, del compromesso, di adattamenti reciproci. Ancora meno si può pensare di influire nel breve periodo sulla struttura della rete di imprese. Chi si deve occupare quindi di definire la strategia? Il middle management, che ha preso e prende le decisioni quotidiane che costituiscono la strategia realizzata, deve assumere un ruolo di primo piano nella pianificazione: senza di loro non si va da nessuna parte. Al top management, invece, spetta il compito di provvedere le risorse, la struttura, il clima e gli incentivi necessari per la sua realizzazione, nei limiti imposti dal contesto di network.

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