Sunday, November 22, 2009

The power of activism - Spar & La Mure, 2003

Spar, D. L., La Mure, L. T. 2003. The power of activism: assessing the impact of NGOs on global business. In California management review, vol. 45 (3): 78-101.

Key issue: Why corporations respond differently to NGOs pressure?

This exploratory study identifies three strategies that corporations can choose to respond to activism: pre-emption, capitulation, resistance. What determines this variation? First of all, a fast excursus of the history of activism is offered. Drawing a parallel between the slavery abolition movement founded in 1775 by the Pennsilvania Quaker activists and today’s pressure groups, the authors identify “the business of NGOs” (p. 79) in targeting the source of power and the possible agents of change. They remember that the shift from pressuring state actors to non-state is not something new: the American anti-British movement in 1765 organized a boycott against the old-country. So, the more corporations become powerful, the more they become the target of activism. Due to limited resources, NGOs concentrate their effort on the big brands. The main instrument they use is the threat of a financial harm. However, the cost of activism is not directly measurable and there is scattered evidence from the literature. Why then corporations respond to activism? According to a rational response model, the cost of activism should be considered as another cost of doing business, therefore evaluating potential harm and cost of response. In particular, managers evaluate: transaction costs, brand impact and competitive position. If an economic view were dominant, resistance would be the normal response in many cases, but actually many companies pre-empt activism. This could be explained looking at manager’s personal motives and beliefs, which become particularly significant in case of family businesses and strong charismatic leadership. 3 case studies follow: Unocal in Burma, Nike and Novartis.

Serie: materiali per la CSR

Nelle prossime settimane getterò le fondamenta per un archivio di materiali sulla CSR. Questo lavoro è preliminare alla mia tesi di Master e potrebbe essere utile a chi si interessa della materia. Per comodità mia sarà tutto in lingua inglese, quindi fruibile ad un pubblico molto più ampio. Il mio lavoro finale sarà un'indagine su come viene percepita e praticata la corporate social responsibility nelle piccole e medie imprese italiane, replicando uno studio del Prof. Sriramesh (Massey University, Nuova Zelanda) su Singapore. L'idea è quella di creare le basi per una Global CSR, mettendo in luce l'impatto del macro-ambiente (ordinamento politico, infrastruttura economica, cultura, sistema dei media e livello di attivismo) sulle percezioni e le strategie di CSR.

Tuesday, November 17, 2009

VOW / 16

Gli ultimi sviluppi del brand management: sviluppare partnership significative e creare community: Harley Davidson.

Tuesday, November 10, 2009

Thursday, November 5, 2009

CSR, norme e cigni neri

Proviamo a ragionare attorno alla possibilità di un approccio normativo (in senso giuridico) alla CSR. La norma è una regola generale, astratta e coattiva, basata sui valori guida di un ordinamento sociale. Fatto sta, che le norme regolano soltanto una parte della nostra vita in società e sono affiancate da una serie innumerevole di regole non scritte che influenzano il comportamento. Il concetto di norma implica quindi una semplificazione, un appiattimento. Anche in statistica, la curva di Bell che rappresenta una distribuzione normale è un modo efficiente per rappresentare molti fenomeni. Qui, il 95% dei casi si concentra a ±1,96 sigma dalla media e centrare dei valori in questo intervallo è considerato un grado probabilistico accettabile. L’esperienza però ci dice che sono le code della distribuzione a fare la differenza. Sono i Black Swans (Taleb). Sono i “comici”, che stanno ai margini della società e rivestono una funzione liminale (Bachtin), ma proprio per questo le forniscono una salutare traspirazione con l’esterno. Sono gli outliers, coloro che sfidano le convenzioni. Sono le mutazioni genetiche che portano avanti il processo evolutivo. La metafora evolutiva ci aiuta a comprendere come le code della distribuzione esistono in funzione degli incentivi ambientali. Un processo regolatorio sulla responsabilità d’impresa deve quindi essere inteso non come levelling-off, ma come sistema di incentivi che proattivamente alzi l’asticella, a rischio di spingere fuori dal mercato quelle imprese che si trovano nella coda sbagliata della distribuzione e scommettendo sulla possibilità di “ingrassare” la coda più all’avanguardia. Il mandato del settore pubblico è quello di gestire le priorità, ruolo che diventa critico quando gli interessi privati collidono con quelli pubblici. È quindi perdente qualunque difesa di chi continua a produrre con un sistema datato ed eco-illogico. Sarebbe come esonerare dalla pollution charge chi possiede veicoli inquinanti sostenendo che altrimenti resterebbe a piedi. La soluzione, in questo caso, consiste invece nel fornire un cuscino di mezzi pubblici su cui atterrare morbidamente. La logica del sistema di incentivi e di cuscini è da tenere presente quando si considera se e come legiferare sulla CSR tendendo presente che l’approccio volontario ha costituito finora il limite e la forza della CSR come strumento competitivo. I problemi legati al regolamentare la CSR sono molteplici. Prima di tutto, la sovranità nazionale degli stati si scontra con la globalizzazione (rimando al post di Andrea: “Il ruolo delle istituzioni pubbliche nella CSR”). Inoltre, la responsabilità d’impresa è industry-bound o, ancora più precisamente, network-bound. È cioè strettamente specifica della rete del valore di ogni singola impresa, che ne definisce le sfide e le peculiarità. Non ha senso parlare di una CSR in generale. Imprese diverse hanno diverse responsabilità, a seconda del loro modello di business. Quindi, ad esempio, una regolamentazione sul reporting in termini di “triple bottom line” rischia di presentare delle maglie talmente larghe da far proliferare dei CSR report “vuoti” (già ce ne sono molti!); oppure c’è la possibilità che fioriscano una serie di indicazioni minuziose su ogni industria, quindi, per forza di cose, complicate, aggirabili, incomplete, e statiche rispetto all’evoluzione delle reti di imprese e dei modelli di business. Una soluzione potrebbe essere quella di far valere il diritto all’informazione (escludendo per ovvi motivi i segreti commerciali) nei confronti delle imprese. Quindi, far sì che quando un cittadino o una NGO richiede il calcolo delle emissioni di CO2 o l’elenco dei fornitori, un’impresa sia tenuta a comunicarlo. Si tratta di entrare in una logica di trasparenza totale, in cui la persona giuridica impresa ha diritti, ma anche doveri vincolanti, che se non rispettati possono portare ad una sospensione dei diritti stessi.

Tuesday, November 3, 2009

VOW / 14

Passiamo il video di presentazione dei risultati di uno studio sulla CSR di IBM Global Business Services.

Sunday, November 1, 2009

Calcola la tua carbon footprint

Segnaliamo questa applicazione per calcolare la carbon footprint personale, presentata dal WWF sul sito de La Repubblica.