Thursday, October 1, 2009

Personificazione, eroismo e mitologia del potere.

Ci sono persone che più di altre catalizzano l’attenzione su di sé, vuoi per la loro personalità, vuoi per il ruolo che ricoprono ed il potere che detengono. CEO, presidenti, premier diventano spesso la faccia delle organizzazioni e dei territori che amministrano, il loro corpo ne diventa metafora in una maniera che echeggia il religioso. Il potere viene personificato, il verbo si fa carne. E questo avviene anche all’interno di meccanismi democratici o comunque dove esistono squadre di governo che grazie all’azione congiunta portano avanti la baracca. È il caso della direzione di molte aziende, ma anche del presidente degli Stati Uniti. Com’è possibile? E che effetti ha la personificazione, la creazione di eroi e miti?
Innanzi tutto bisogna indagare la struttura narrativa che spesso ricorre nel nostro pensiero. Le storie sono il modo in cui leggiamo e cataloghiamo ciò che accade nel mondo. Condensare la conoscenza in un susseguirsi temporale di azioni, portate avanti da personaggi, in una certa scena, con un determinato scopo e grazie a certi strumenti, si è rivelata una modalità di estrema comodità euristica. Questa è la struttura pentadica delle storie di cui parla Burke. Ci piace raccontarcela, insomma. E raccontiamo storie su tutto, anche su noi stessi e sugli altri. Le storie sono una parte fondamentale dei meccanismi identitari che portano all’affermazione del sé. Soffermiamoci sui personaggi, quindi. Senza personaggi la storia non esiste. Ed è proprio nella forma dell’eroe che la storia assume la sua forma più potente ed accattivante. Ognuno si costruisce il proprio pantheon. Queste osservazioni sono alla base della narrativizzazione delle notizie che il giornalismo adotta per catturare l’attenzione dei lettori. E sono la stampa, e soprattutto la televisione, a raccontare e a personificare, a creare miti ed eroi e a portare lo sguardo sul corpo del leader. Nella società dello spettacolo il divismo è una struttura centrale e la personificazione viene accentuata. Il risvolto è che identificazione, ammirazione e voyeurismo si intrecciano. Quando la persona diventa merce, come in una vetrina, il confine tra dentro e fuori, tra pubblico e privato, tra persona e organizzazione, si fa trasparente. Quando un capo di stato parla ed agisce, lo fa a nome della nazione; parla ed agisce in conto dell’azienda il CEO. Lo sa bene il manager inglese Ratner, che ha distrutto l’impero dei gioielli che aveva ereditato con una battuta: “How can you make jewels that cost so little?” - “Well, because it’s shit!”. Tutto in fumo. Lo sanno bene, o dovrebbero saperlo, i personaggi politici. Gli esempi di personificazione e di mitologia sono moltissimi, alcuni li abbiamo già fatti. Berlusconi, il suo opuscolo “una storia italiana” e le cronache di oggi; Cacciari è Venezia come Formigoni è Regione Lombardia (la definizione stessa di “governatore” è invenzione giornalistica); Steve Jobs, il pirata di Silicon Valley, il viaggio in India e la malattia ora (auguri Steve!); Anita Roddick, l’attivismo giovanile e The Body Shop, poi passata a L’Oréal; Olivetti, la fabbrica di Ivrea e l’impegno sociale; Prodi che è stato il simbolo di una squadra di governo molto eterogenea e si è lasciato raccontare da lasciare l’amaro in bocca; Obama e Sarkozy… Ci sono esempi positivi e negativi. Esempi di chi si racconta bene, e di chi si fa raccontare male, esempi di chi ha qualcosa da raccontare e di chi se lo inventa, di chi ha un “animal spirit” che ammalia e di chi non ha idea di cosa rappresenta in quel momento.
La personificazione, l’eroismo e la mitologia hanno anche una indubbia funzione di rafforzare l’identificazione, la cultura interna, l’affiatamento, il consenso. Se ci si pensa attentamente è proprio quello che manca all’Europa (ed ai partiti europei). Corale, collegiale e plurilinguistica per definizione, è difficile da narrare e non riesce a coinvolgere, è più facilmente additabile come l’origine di leggi non gradite, risulta atomizzata e non compatta e monolitica, quindi debole. Le elezioni europee sono ricondotte ad un sondaggio sulla politica interna, un prova di leadership.
Le dinamiche che abbiamo descritto sono quindi un fattore chiave nella comunicazione oggi. Che lo si voglia o no, spesso si gioca in questa logica, vuoi per il sistema dei media o per l’ambiente competitivo. Il trucco sta nel raccontarsi onestamente e con ethos e nel capire cosa comporta avere gli occhi addosso quando si ricopre un certo ruolo. Avere consapevolezza del potere e delle logiche dei media (valori notizia, sound bites, personificazione, narrativizzazione…). Pensare alle conseguenze di lungo periodo, alla interrelazione e sovrapposizione tra persona fisica e organizzazione, tra rappresentante e rappresentato.

2 comments:

  1. bel post Marcello! ispirato dallo stesso e visto che sto studiando in questi giorni proprio per un corso di leadership che seguo qui a CPH, ho scritto qls sul tema: http://lonelydonkey.blogspot.com/2009/10/leadership-towards-paradigm-shift.html

    fammi sapè che ne pensi!

    Saluti
    Simone

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  2. Ciao Simone,
    mancandomi una connessione con la letteratura, ti ringrazio per avermi segnalato diversi riferimenti ed avermi dato un quadro più chiaro. Il tuo post è molto efficace! Soprattutto è interessante per me l'errore fondamentale di attribuzione, che spiega infatti la diversa concezione della leadership tra occidente ed oriente. In Asia, generalmente, sono meno soggetti all'errore fondamentale di attribuzione e tendono quindi ad includere il contesto e le variabili ambientali nei nessi causali. Per approfondire, v. "The geography of thought" di Nisbett. La leadership asiatica infatti è più "quiet", in quanto l'armonia all'interno del gruppo e tra società ed ambiente viene prima di tutto (idee Confuciane). Il leader, quindi, non sta davanti alla fila, non è l'eroe greco dotato della virtù etica aristotelica del coraggio. Il buon leader, in Asia, chiude la fila: è colui che si preoccupa che nessuno rimanga indietro. In una società meno frammentata e più formalmente strutturata, non serve farsi notare per affermare la leadership.
    In uno studio sulla leadership, ha sicuramente senso provare a distogliere lo sguardo dall'individuo "outiler" ed includere il contesto. Il comportamento delle persone normali, può essere infatti fortemente influenzato dal contesto, come dimostra l'esperimento della prigione di Stanford di Zimbardo.

    A presto,

    Marcello

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