La complessità ambientale che risulta dai flussi della globalizzazione di persone, idee, prodotti e servizi avvolge le organizzazioni e ne forgia l’ambiente interno. In quanto sistemi aperti, infatti, queste sono giocoforza in un rapporto osmotico con l’ambiente esterno. Anzi, è proprio la capacità di essere permeabili ed avere delle antenne che sondano il contesto di azione a fare la differenza per le organizzazioni di successo. Anche il tentativo, pur possibile nel lungo periodo, di influenzare l’ambiente esterno non può essere affrontato da quelle imprese che non abbracciano la complessità postmoderna. Ecco, quindi, che in termini di persone le organizzazioni si articolano sempre più spesso in team di natura multiculturale. La diversità nelle organizzazioni, ormai universalmente riconosciuta come un arricchimento, rappresenta se opportunamente gestita non soltanto una strategic necessity, ma un vero e proprio vantaggio competitivo che affonda le proprie radici nelle risorse intangibili. Ma come rendere eccellente un team multiculturale? Affrontiamo l’argomento in una serie di post successivi.
PARTE PRIMA: L’ORIGINE SOCIALE DELLA MENTE E LA DIVERSITA’ CULTURALE.
Innanzi tutto bisogna comprendere le origini della diversità. Lo psicologo americano Richard Nisbett ha tracciato la strada per disegnare una mappa della Geografia del pensiero (The geography of thought, 2004). Questo approccio alle teor ie dell’origine sociale della mente, riporta enculturation, apprendimento e socializzazione primaria al centro della scena. Muovendo dalle differenze tra Occidente ed Oriente nell’imprinting dato ai bambini, Nisbett ritrova queste differenze nei processi percettivi e comportamentali degli adulti. Ad esempio, i genitori asiatici puntano sull’apprendimento dei verbi e parlano ai bambini in termini sentimenti; quelli occidentali, invece, favoriscono il vocabolario legato ai sostantivi ed il riferimento ad oggetti. Così, le persone asiatiche risultano più propense a percepire e descrivere l’ambiente in termini di sostanze piuttosto che di forme; si concentrano più sullo sfondo e meno sulla figura; ricadono più difficilmente nell’Errore Fondamentale di Attribuzione, cioè tendono ad attribuire (correttamente) il comportamento alla situazione ed al contesto piuttosto che alle caratteristiche personali dell’agente. Tutto ciò si riscontra nel comportamento: in Occidente si esaltano l’indipendenza, la coerenza logica e gli outliers; in Oriente l’armonia del gruppo, la ragionevolezza, le relazioni tra membri della società. Il lavoro di Nisbett, sicuramente perfettibile, soprattutto nel considerare soltanto due macro-gruppi culturali (Westerners vs. Asians), apre però delle prospettive interessanti nelle relazioni tra culture differenti.

In relazione al rapporto con il contesto, Stuart Hall (1976) suddivide le società umane in high context e low context. Coerentemente con i risultati di Nisbett, le società asiatiche sono maggiormente consapevoli del contesto generale (la scena) delle azioni e dell’agire comunicativo. Ciò risulta in una maggiore quantità di non detto nelle conversazioni tra orientali, mentre in occidente è necessario esplicitare maggiormente alcuni elementi significanti affinché lo stesso significato possa essere compreso.
Andando oltre, Hofstede (1980) identifica cinque variabili per descrivere l’ambiente culturale: individualismo, distanza dal potere, mascolinità, tolleranza per l’incertezza, e orientamento di lungo periodo (o Confucian dynamism). Le culture asiatiche, radicate nel pensiero di Confucio, considerano sempre il contesto allargato e valutano le loro azioni in relazione all’armonia della società e ai rapporti con gli altri membri del gruppo. Inoltre, sono più disponibili a fare sacrifici nel presente nell’attesa di ricompense future. Un’antica storia cinese racconta di un vecchio contadino e del suo cavallo che scappa. Ai vicini che vanno a commiserarsi con lui, questi risponde: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. E infatti, dopo qualche giorno il cavallo ritorna portando con sé un bel puledro. I vicini di nuovo vanno da lui per congratularsi, ma il vecchio risponde: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. La settimana successiva, suo figlio, tentando di addomesticare il giovane cavallo, cade e si rompe una gamba. Ecco che i suoi amici vanno ancora dal contadino per condividerne il dolore, ma lui li respinge dicendo: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. Infatti, durante la convalescenza del giovane, scoppia una feroce guerra e l’esercito viene al villaggio per reclutare tutti i giovani in grado di combattere. Il figlio del vecchio contadino viene risparmiato. La storia potrebbe andare avanti…
Nel prossimo post vedremo come queste differenze culturali influenzano il comportamento delle persone nelle organizzazioni ed il team work e come gestire la diversità per rendere eccellente l’organizzazione.