Monday, August 31, 2009

Fiducia e business: Ebay

I rapporti che intercorrono tra gli stakeholders occupano una posizione importante all'interno degli studi inerenti alla corporate social responsibility, tanto da poter parlare di stakeholder responsibility. I cardini su cui si fonda la stakeholder responsibility sono: obiettivi e valori condivisi, fiducia e integrità.
Un modo efficace per dare sostanza a questi tre concetti e alla loro elevata interdipendenza è ragionare sul successo di Ebay. Una miriade di venditori, molti privati senza una sede, una partita iva, nulla di tangibile. Annunci improvvisati e grafica abbozzata contribuiscono a generare una sensazione di precarietà e instabilità che farebbe rifuggere il compratore più esperto da qualsiasi sito di e-commerce. Eppure parliamo di uno dei top brands della new economy, cresciuto con il boom e resistito allo sboom.
Dove sta il trucco? Aldilà di considerazioni legate ad esempio al meccanismo ludico insito nell'asta, il principale baluardo su cui si è sviluppato ed è tuttora sorretto quel business sta proprio nella implementazione radicale del paradigma degli stakeholders descritto sopra. Ebay ha fatto di valori come rispetto, fiducia, apertura, autonomia e responsabilizzazione qualcosa di più di un codice etico interno, ne ha fatto la ragione stessa del suo business. Lo spazio per i feedback esemplifica tutto ciò, è il meccanismo chiave attraverso cui gli stakeholders di Ebay (venditori e compratori) commentano le loro esperienze di acquisto/vendita. Viene così a crearsi per ciascun utente un profilo di feedback e di affidabilità, il frutto di un'attività cooperativa tra gli stakeholders che rafforza ulteriormente il senso di condivisione e di reciproca responsabilità nella relazione.
Questa pratica non solo è indissolubilmente legata all'esistenza stessa di una piazza virtuale come Ebay ma da origine ad un circolo virtuoso che permette un continuo rafforzamento della fiducia. Un ingrediente fondamentale nelle relazioni, il venir meno della fiducia con comportamenti opportunistici da parte degli stakeholders, come l'abuso da parte dei clienti del servizio di reso dei prodotti acquistati o lo stare ore e ore su internet a consultare la propria pagina Facebook da parte dei dipendenti, comporta non solo l'erosione del rapporto ma anche la necessità di aumentare il monitoraggio con controlli più restrittivi, dunque maggiori costi.

Friday, August 28, 2009

La out-of-home tv da oriente a occidente

Era il 2002 quando Jason Jiang si ritrovò a guardare un poster appiccicato alla porta dell’ascensore nella calda estate di Shanghai. Il giovane pubblicitario aveva capito che ci sono situazioni in cui l’attenzione delle persone non è bombardata dalla miriade di stimoli che vengono dalla televisione e basta una semplice immagine per attirare l’attenzione. Magari è stata la bella attrice Shu Qi, fotografata nel poster, ad ispirarlo, fatto sta che Jiang ha deciso di trasformare la sua intuizione in un’idea imprenditoriale. E lo ha fatto con estrema rapidità e successo. Il modello di business di Focus Media, basato sulla out-of-home tv è apparso in Cina nel 2003. Due anni più tardi era chiaro che i media tradizionali (tv e stampa) non erano più un grado da soli di raggiungere in maniera efficace ed efficiente gli urban consumers. In questo senso, il modello di Focus Media è basato sui new media, intesi in senso lato come mezzi di comunicazione tipici dei mercati post-pubblicitari [Brognara – Del Curto, 2009]. Anche in Cina, infatti, si assiste ad un declino della centralità dell’advertising tradizionale verso forme non convenzionali in grado di coprire meglio il target. Ciò è il risultato di un cambiamento nel comportamento dei consumatori, in particolare dei segmenti demografici urbani con un reddito superiore alla media. L’abbondanza di informazione e di offerta di intrattenimento rende la loro attenzione selettiva sempre più difficile da attirare con i media tradizionali. La out-of-home tv rappresenta il concetto di remediation [Bolter – Grusin, 1999] che caratterizza i new media: il linguaggio della tv viene ri-mediato in contesti e location non convenzionali. Il contatto con il consumatore avviene in concomitanza con lo svolgersi delle attività che ne definiscono lo stile di vita: professione, posti frequentati, attività ricreative, esperienze di consumo. In Cina capita di trovare uno schermo fuori dalla finestra dell’ufficio, in metropolitana, in taxi e in ascensore, ma anche al golf club, dall’estetista e nelle sale d’attesa delle cliniche. Così, le città si trasformano. I media outdoor contribuiscono massicciamente a quel fenomeno di vetrinizzazione del sociale descritto da Codeluppi [2007], trasformando gli edifici e gli spazi urbani in enormi vetrine. Questi trend riguardano le città occidentali come quelle orientali. Comunque, il grado si sviluppo economico in Cina resta molto disomogeneo, con l’area costiera ultra-moderna e l’entroterra agricolo. Inoltre, il livello degli stipendi e le abitudini mediali variano di città in città, rendendo quindi necessari ulteriori adattamenti alla pianificazione media che, se intende coprire anche le zone rurali dovrà includere anche forme di folk media.

Tuesday, August 25, 2009

VOW / 6

Tutto quello che avete sempre voluto sapere su Wikipedia e non avete mai osato chiedere.

Sunday, August 23, 2009

L'agenzia viaggi del turismo consapevole

Si chiama Go Philanthropic ed è un'agenzia viaggi di New York. Ciò che la distingue dal mare di offerta turistica organizzata e DIY che si incontra navigando in rete è il taglio delle destinazioni e dei servizi. Tutto rigorosamente all'insegna del turismo eco-compatibile, responsabile e consapevole. Leggermente caro, ma questa volta i prezzi includono forme di "compensazione" delle esternalità negative prodotte. Speriamo che questo approccio diventi la regola e non un lusso per chi se lo può permettere.

Tuesday, August 18, 2009

VOW / 5

Il promo di prensentazione del libro di Charles Leadbeater, "We Think". Lasciatevi trasportare alla scoperta delle potenzialità degli ultimi sviluppi della rete.

Friday, August 14, 2009

Le eco-chic bag fanno tendenza

Dal regalo della moglie del sindaco di Roma Alemanno, Isabella Rauti, per le first ladies dei G8 alle iniziative di CSR di Vodafone. La borsa, accessorio per eccellenza, diventa eco-chic. Michelle Obama e le altre, infatti, sono tornate a casa con una Message Bag di Carmina Campus, il brand di Ilaria Venturini Fendi.



















(immagine tratta da www.carminacampus.com)

Vodafone propone invece delle Eco Bag realizzate riciclando le affissioni del gestore di telefonia per finanziare il progetto My Future, che raccoglie molte altre iniziative di CSR.


















(immagine tratta da www.myfuture.vodafone.it)

Tuesday, August 11, 2009

VOW / 4

La nuova frontiera dell'innovazione: il crowdsourcing.

Monday, August 10, 2009

Country Brand Index

Chi si interessa di marchio d'area non può prescindere dalla dimensione nazionale. I country brand, come espressione della promozione del territorio nazionale competono nello scenario globale del turismo. Il più autorevole rapporto sui country brand e la classifica che ne risulta sono gestiti dal 2005 dall'agenzia Future Brand (www.futurebrand.com) e sono consultabili al sito www.countrybrandindex.com/.

Saturday, August 8, 2009

A Londra apre un pop-up store

Il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha inaugurato insieme al designer e fondatore del brand Red or Dead, Wayne Hemingway, un innovativo pop-up shop, KiosKiosK. Lo spazio di retail posizionato al centro di Londra, verrà fornito gratuitamente ai giovani creativi che vogliono affacciarsi sul mercato per i prossimi due mesi. Ottima idea per abbattere le barriere all'ingresso e stimolare il buzz. Tutta la storia su www.kioskiosk.co.uk/.

Wednesday, August 5, 2009

Il manager interculturale / 2

PARTE SECONDA.
Abbiamo esaminato da dove originano e come si caratterizzano le differenze culturali. Ora vediamone l’impatto sull’ambiente interno delle organizzazioni ed in particolare sul team work. L’etimo della parola team in inglese e cinese rispecchia le differenze culturali tra la visione occidentale e quella orientale. L’inglese team viene fatto risalire al latino ducere ed è quindi collegato all’idea di leadership. Il cinese 团队 è composto da 团 (tuán), che significa “gruppo, insieme” e da 队 (duì), “squadra”, che è costituito a sua volta dai caratteri 耳 (ěr), l’orecchio, e 人(rén), “persona”. L’idea qui è ascoltare le persone. Come conciliare visioni così diverse (su cui inoltre si innestano le differenze individuali) quando si lavora nella stessa équipe? Rielaborando la nostra esperienza in contesti internazionali, vi proponiamo il seguente modello.
Innanzi tutto è necessario che il team, affinché si sviluppi un senso di comunanza di obiettivi, raggiunga una massa critica di lavoro di gruppo. Questo permette che il team attraversi tutte le fasi del processo di formazione descritto da Tuckman [1965]: forming, storming, norming, performing. Si sviluppa inoltre un grado sufficiente di conoscenza reciproca che si cristallizza in delle teory of minds, cioè delle aspettative sul comportamento altrui. Col tempo cresce il livello di coinvolgimento nel team, si sviluppano reti informali e le persone cominciano a sentirsi parte di un’unica entità sociale. Si passa quindi da una prospettiva transazionale del lavoro insieme ad una prospettiva relazionale.
In questo processo gioca un ruolo fondamentale la definizione di obiettivi comuni a tutta la squadra, in collaborazione tra il management e i membri del team. Anche il numero dei componenti e la natura poliarchica che solitamente caratterizza i team influisce sull’esito del lavoro di gruppo. Ci preme sottolineare la complessità della comunicazione organizzativa, sia in termini puramente meccanici che in relazione ai contenuti. Il numero di relazioni comunicative cresce esponenzialmente ed in un team di n membri è uguale a n*(n-1)/2!. Inoltre la diversità influisce sui contenuti della comunicazione, tra non detto e lost in translations. L’abilità di relativizzare il proprio punto di vista (ability to decentre) diventa quindi una competenza chiave in un team multiculturale. Per evitare che ogni componente si chiuda nel proprio umwelt (mondo percepito) è necessario creare spazi di condivisione del sapere. Il concetto giapponese di ba descritto da Nonaka e Konno [1998] è il locus condiviso fisico e virtuale dove la conoscenza viene coltivata, attraverso la sua continua circolazione da implicita ad esplicita. Trascendere la prospettiva limitata del singolo è condizione necessaria per favorire l’innovazione. Considerati tutti questi fattori è quindi possibile ridurre la conflittualità, creare sinergie e addirittura invertire il percorso dell’entropia, specializzando ed affinando le risorse intangibili di ciascuno, che rimangono di scarso valore se non vengono condivise.

Tuesday, August 4, 2009

VOW / 3

Un altro cult: introduzione al web 2.0.

Monday, August 3, 2009

Il manager interculturale / 1

La complessità ambientale che risulta dai flussi della globalizzazione di persone, idee, prodotti e servizi avvolge le organizzazioni e ne forgia l’ambiente interno. In quanto sistemi aperti, infatti, queste sono giocoforza in un rapporto osmotico con l’ambiente esterno. Anzi, è proprio la capacità di essere permeabili ed avere delle antenne che sondano il contesto di azione a fare la differenza per le organizzazioni di successo. Anche il tentativo, pur possibile nel lungo periodo, di influenzare l’ambiente esterno non può essere affrontato da quelle imprese che non abbracciano la complessità postmoderna. Ecco, quindi, che in termini di persone le organizzazioni si articolano sempre più spesso in team di natura multiculturale. La diversità nelle organizzazioni, ormai universalmente riconosciuta come un arricchimento, rappresenta se opportunamente gestita non soltanto una strategic necessity, ma un vero e proprio vantaggio competitivo che affonda le proprie radici nelle risorse intangibili. Ma come rendere eccellente un team multiculturale? Affrontiamo l’argomento in una serie di post successivi.

PARTE PRIMA: L’ORIGINE SOCIALE DELLA MENTE E LA DIVERSITA’ CULTURALE.
Innanzi tutto bisogna comprendere le origini della diversità. Lo psicologo americano Richard Nisbett ha tracciato la strada per disegnare una mappa della Geografia del pensiero (The geography of thought, 2004). Questo approccio alle teor ie dell’origine sociale della mente, riporta enculturation, apprendimento e socializzazione primaria al centro della scena. Muovendo dalle differenze tra Occidente ed Oriente nell’imprinting dato ai bambini, Nisbett ritrova queste differenze nei processi percettivi e comportamentali degli adulti. Ad esempio, i genitori asiatici puntano sull’apprendimento dei verbi e parlano ai bambini in termini sentimenti; quelli occidentali, invece, favoriscono il vocabolario legato ai sostantivi ed il riferimento ad oggetti. Così, le persone asiatiche risultano più propense a percepire e descrivere l’ambiente in termini di sostanze piuttosto che di forme; si concentrano più sullo sfondo e meno sulla figura; ricadono più difficilmente nell’Errore Fondamentale di Attribuzione, cioè tendono ad attribuire (correttamente) il comportamento alla situazione ed al contesto piuttosto che alle caratteristiche personali dell’agente. Tutto ciò si riscontra nel comportamento: in Occidente si esaltano l’indipendenza, la coerenza logica e gli outliers; in Oriente l’armonia del gruppo, la ragionevolezza, le relazioni tra membri della società. Il lavoro di Nisbett, sicuramente perfettibile, soprattutto nel considerare soltanto due macro-gruppi culturali (Westerners vs. Asians), apre però delle prospettive interessanti nelle relazioni tra culture differenti.













In relazione al rapporto con il contesto, Stuart Hall (1976) suddivide le società umane in high context e low context. Coerentemente con i risultati di Nisbett, le società asiatiche sono maggiormente consapevoli del contesto generale (la scena) delle azioni e dell’agire comunicativo. Ciò risulta in una maggiore quantità di non detto nelle conversazioni tra orientali, mentre in occidente è necessario esplicitare maggiormente alcuni elementi significanti affinché lo stesso significato possa essere compreso.
Andando oltre, Hofstede (1980) identifica cinque variabili per descrivere l’ambiente culturale: individualismo, distanza dal potere, mascolinità, tolleranza per l’incertezza, e orientamento di lungo periodo (o Confucian dynamism). Le culture asiatiche, radicate nel pensiero di Confucio, considerano sempre il contesto allargato e valutano le loro azioni in relazione all’armonia della società e ai rapporti con gli altri membri del gruppo. Inoltre, sono più disponibili a fare sacrifici nel presente nell’attesa di ricompense future. Un’antica storia cinese racconta di un vecchio contadino e del suo cavallo che scappa. Ai vicini che vanno a commiserarsi con lui, questi risponde: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. E infatti, dopo qualche giorno il cavallo ritorna portando con sé un bel puledro. I vicini di nuovo vanno da lui per congratularsi, ma il vecchio risponde: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. La settimana successiva, suo figlio, tentando di addomesticare il giovane cavallo, cade e si rompe una gamba. Ecco che i suoi amici vanno ancora dal contadino per condividerne il dolore, ma lui li respinge dicendo: “Chi lo sa se ciò è bene o è male?”. Infatti, durante la convalescenza del giovane, scoppia una feroce guerra e l’esercito viene al villaggio per reclutare tutti i giovani in grado di combattere. Il figlio del vecchio contadino viene risparmiato. La storia potrebbe andare avanti…
Nel prossimo post vedremo come queste differenze culturali influenzano il comportamento delle persone nelle organizzazioni ed il team work e come gestire la diversità per rendere eccellente l’organizzazione.

Sunday, August 2, 2009

Verso il marchio d'area

Fin dagli albori del commercio si registra la volontà di identificare con un grafica rudimentale o con dei colori il proprio prodotto in modo da qualificarlo e differenziarlo rispetto ai concorrenti, tramite un marchio, termine giuridico che riporta alla natura industriale e alla funzione commerciale originaria. Oggi invece assistiamo all'affermazione della marca o meglio delle marche che, nello spazio sociale postmoderno, sono investite del ruolo di crocevia strategico rispetto ai tre motori dell'attuale scenario: economia, consumo e comunicazione. Uno scenario caratterizzato dalla tendenza alla dematerializzazione del consumo, secondo la quale sono in costante aumento le pratiche di consumo nelle quali la parte fisica e materiale è sempre più trascurabile, sostituita dal consumo di idee, emozioni, immaginari e racconti. La logica di marca si è estesa a crescenti ambiti della discorsività sociale, l'attenzione al brand ha trovato spazio nella sfera politica, nelle industrie culturali e nel mondo dello sport. E' necessario partire dal grado di flessibilità ed estendibilità assunta dal brand per comprendere le peculiarità del marchio d'area, ovvero la definizione di un'area territoriale nella quale realizzare una serie di servizi coordinati e complementari volti a far emergere e promuovere le potenzialità presenti. Da un lato funzionando come strumento di posizionamento sul mercato e dall'altro permettendo una maggiore canalizzazione degli interventi sul territorio, rafforzando infine le sinergie tra i diversi stakeholders. Tutto questo favorisce la creazione di contenitori contraddistinti da un equilibrio apparentemente ossimorico tra diversificazione della proposta e coerenza forte a livello di immagine. E' ragionevole dunque pensare che ci sia spazio anche per micro brand legati ad un territorio come appunto il marchio d'area, con comuni e enti locali azionisti di maggioranza e impegnati in prima linea. Questi soggetti sono già tenuti a corrispondere alla fiducia dei cittadini venendo incontro alle loro aspettative sociali, costituendo un legame meno artificioso di quello che si sforzano ad instaurare quotidianamente le imprese multinazionali con i propri consumatori, nel migliore dei casi tramite strategie di ampio respiro legate alla corporate social responsibility.
Dunque gli enti pubblici, proprio per la loro mission, si prestano maggiormente a portare avanti un certo tipo di contratto con il proprio target attraverso una discorsivizzazione veicolabile attraverso la marca e le logiche che in essa risiedono. Se inoltre consideriamo che il contesto politico-sociale è uno degli elementi principali di cui tengono conto le corporation quando analizzano lo scenario nel quale collocare i loro brand, nel caso del marchio d'area ci troviamo di fronte ad una logica di marca portata avanti da soggetti che a loro volta sono influenzatori del contesto nel quale competono altri brand, permettendo ad esso di erigersi a meta-marca all'interno di un'area territoriale privilegiata. A giovarne è prima di tutto l'immagine del luogo, quella che Comboni definisce come il risultato di un processo mentale di semplificazione e sintesi dell'insieme delle credenze, delle informazioni più o meno mediate che il pubblico ha del territorio stesso, il prodotto di un pensiero figurato originato da aspetti tangibili ed altri capaci di andare al di là delle forme rappresentate. Queste forme tangibili possono essere ad esempio gli eventi, un asset fondamentale che ben si sposa con il potenziale innovativo della marca, capace di stimolare una serie di cambiamenti dal punto di visto organizzativo, nella sostanza del fare e nel comunicare. Elementi da tenere in debita considerazione da parte di tutti coloro che intendono sviluppare un marchio in relazione ad una community locale.