Wednesday, September 30, 2009

Dal dire al fare

Lo staff di Intangible Economy ieri ed oggi è stato al salone della CSR "dal dire al fare", che quest'anno è ospitato dall'Università Bocconi di Milano. Al più presto, seguiranno commenti, cronache e spunti.

Tuesday, September 29, 2009

VOW / 11

Da dove vengono le cose che compriamo e dove vanno a finire? The story of stuff.

Thursday, September 24, 2009

La diffusione della logica di marca

La valenza semiotica della marca, capace di condensare informazione (in senso meccanico-funzionale), ma soprattutto di essere motore di significazione a livello sociale e personale, ne ha decretato l’applicazione con successo nel campo industriale, commerciale e dei servizi. L’alfabetizzazione al linguaggio della marca che caratterizza i cittadini-consumatori della società postmoderna ed il crescente peso della componente immateriale nell’economia reale (la società meno materialistica che esista…) ha portato ad un processo di diffusione osmotica di una logica di marca anche ad ambiti sempre più lontani da quelli in cui la marca è nata. Ecco che qualunque entità può essere comunicata facendone una marca. Nel passaggio dal marchio alla marca e alla logica di marca poi, viene meno la componente di fisicità. I contenuti intangibili prevalgono. Applicare la logica di marca ad ambiti nuovi, come le persone, i territori, gli enti pubblici, il cinema, l’arte, la cultura, le idee, le persone non significa necessariamente ricondurre il tutto alla dimensione del profitto. Anzi! Uno dei concetti fondamentali nel brand management è che la brand equity è path dependent, è frutto della storia ed è un disegno a lungo termine. Semini oggi e raccogli domani. L’obiettivo è creare dei legami con i propri pubblici, legami affettivi, fiducia, coinvolgimento, senso di comunità. Tutto questo, secondo la teoria dello shareholder value, è poi legato da una profit chain alla riproduzione di risorse finanziarie. Ma questo passaggio ulteriore, non è il fine necessario. Saranno la natura dell’impresa, la sua mission e la coalizione dominante a determinarne l’impiego nei confronti di tutti o di un gruppo di stakeholders. In questo senso, i benefici sono reciproci, in quanto il brand management tradizionale può imparare molto dalla capacità magnetica che hanno altri, primo fra tutti il no profit, di attrarre e mantenere relazioni durature con i loro interlocutori.

Wednesday, September 23, 2009

La sottile linea verde

Buoni propositi in vista di Copenhagen da Washington e Pechino. Alla conferenza ONU sull'ambiente, tenutasi a New York, Obama e Hu Jintao hanno promesso di iniziare a posare le prime pietre per una green way. In cantiere tagli alle emissioni di CO2 e trasferimenti di teconologie verdi ai Paesi emergenti.

Tuesday, September 22, 2009

VOW / 10

Guy Kawasaki parla dell'innovazione.


Friday, September 18, 2009

La dimensione esperienziale del consumo

I processi di acquisito occupano una parte significativa della vita delle persone. Il consumo diventa un linguaggio con il quale esprimere il proprio sé, rivelare aspirazioni e personalità, un modo per costruirsi un’identità, differenziarsi o sentirsi inclusi. Ciò che consumiamo dice molto su di noi, tant’è che esiste una branca della sociologia, chiamata garbology, che studia gli avanzi, gli scarti, i rifiuti della civiltà dei consumi. Anche in questo senso, come direbbe Watzlawick, “è impossibile non comunicare”. Le motivazioni alla base del consumo possono essere generalmente di natura utilitaristica o edonistica. Quest'ultima dimensione spesso prevale nell’agire del consumatore postmoderno: lo shopping come avventura, l’aspetto corale e relazionale degli acquisti in gruppo, l’essere sempre all’ultima moda, i meccanismi di gratificazione, la ricerca del piacere dello sconto, del saldo, dell’offerta… Lo shopping diventa intrattenimento e compete sul mercato del tempo libero delle persone per la “share of time”. In questo senso è evidente come l’ambiente di consumo può determinare l’esito del comportamento di acquisto. La dimensione esperienziale del consumo include l’aspetto fisico e quello sociale. Gli elementi fisici che entrano in gioco sono il décor del punto vendita, i colori, le forme e la disposizione fisica di vuoti e pieni, la musica, i suoni, i rumori e il silenzio, i profumi, gli odori, la temperatura e i materiali. La polisensorialità contribuisce e creare il carattere distintivo di ogni esperienza. Assumono inoltre particolare importanza gli stimoli presenti sul punto vendita, capaci di ingenerare comportamenti di impulso e di rivelare il paradosso del coinvolgimento: le azioni di marketing in store risultano più efficaci proprio per quei beni a basso coinvolgimento. L’aspetto sociale include la presenza di altri consumatori sul luogo del consumo e la qualità delle interazioni con il personale di vendita. Il numero e la tipologia dei co-consumatori può portare ad esperienze radicalmente diverse. In una situazione altamente competitiva, in cui il consumo rientra nei meccanismi di significazione che abbiamo descritto sopra, la capacità di un brand di differenziarsi sulla base dell’esperienza rappresenta un importante vantaggio competitivo. Ciò vale non solo per il settore dei servizi, che per natura sono basati sull’esperienza, ma l'opportunità esiste per ogni brand. Infatti, poiché ogni bene per essere consumato deve essere distribuito, dovunque c’è un punto vendita è possibile progettarne le caratteristiche tenendo conto della store gestalt per far scaturire un’esperienza di consumo che può essere la base per differenziarsi. Con l’affermarsi della Grande Distribuzione, alla brand loyalty si è sovrapposta ed intrecciata alla store loyalty e molte logiche sono cambiate. La natura del self-service ha portato ad un nuovo tipo di concorrenza, la logica degli scaffali e l’azione sul punto vendita. Al marketing dei brand “industriali” si sovrappone quello dei distributori, il cui cuore sono le loyalty card e lo sviluppo di marche commerciali. La modernizzazione del commercio che ha attraversato l’Italia a seguito della riforma Bersani del 1996 ben rappresenta l’ordine del cambiamento. Se allo scenario così delineato della distribuzione si aggiunge la proliferazione dei canali e delle iniziative di comunicazione, appare evidente la complessità di sviluppare un’esperienza unitaria legata al brand. Ecco quindi la diffusione dei flaghship stores come emblema dell’esperienza capace di contribuire all'immagine di marca con associazioni mentali uniche e positive. Il succo è che gli aspetti legati all’esperienza assumono un’importanza crescente per ogni tipo di brand. Le motivazioni sono diverse. Innanzi tutto, hanno un forte impatto sulla customer satisfaction. Inoltre, in quanto difficilmente riproducibili, possono essere alla base di un vantaggio competitivo sostenibile che differenzia il brand rispetto ai concorrenti. Ovviamente, il discorso non vale soltanto per le imprese profit, ma anche per gli altri due pilastri del sistema: il settore pubblico e il no profit. La logica di marca e dell'esperienza potrebbero contribuire al miglioramento del rapporto tra cittadini e PA ed alla creazione di legami emotivi ancora più forti tra le no profit ed i loro pubblici.

Tuesday, September 15, 2009

VOW / 9

Come funzionano i social media?

Monday, September 14, 2009

Il ruolo delle istituzioni pubbliche nella CSR

Le istituzioni pubbliche per loro natura sono stakeholders sensibili ai temi cari alla CSR: progresso sociale, sostenibilità ambientale, promozione dei diritti individuali. Resta da capire quale ruolo possano ricoprire in una dinamica che, pur essendo sociale, riguarda prevalentemente le pratiche aziendali. Dunque all'ente pubblico resta la possibilità di giocare un ruolo promotore, al pari e in combinazione con le iniziative delle ONG, verso il mondo privato.
Un primo approccio può essere quello di porre particolare enfasi sul legame tra successo aziendale e adozione delle pratiche di CSR. Lavorare per ribaltare la concezione diffusa secondo la quale l'implementazione di una strategia di responsabilità sociale sia unicamente un sunk cost da sostenere una tantum per dare una lavata alla propria immagine, al pari di altre iniziative filantropiche. Porre invece l'accento sul carattere competitivo della CSR, da considerare come un investimento e non come un costo. Un lavoro dello stesso tipo è stato portato avanti in passato riguardo al total quality management, attualmente presente in maniera rilevante nel mondo delle imprese, se pur in maniera critica e senza la pretesa di essere poi così total.
Se invece consideriamo le imprese come soggetti che, per la natura stessa della loro attività e degli obiettivi che perseguono, si comportano in maniera socialmente irresponsabile, considerazione non ideologica ma argomentata a fondo da studiosi come Gallino e Mitchell, allora l'approccio pubblico non potrà che seguire direzioni differenti. In quest'ottica la moral suasion non basterà, servirà invece il pubblico nella sua veste di regolatore vincolante. L'obiettivo non potrà che essere quello di costruire un frame istituzionale condiviso a livello internazionale, in modo da evitare che le imprese operanti in contesti più virtuosi siano penalizzate nella competizione globale.
Su questo fronte negli ultimi quarant'anni sono state firmate numerose convenzioni da parte di agenzie che fanno riferimento all'ONU (es. ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro). Nonostante lo sforzo considerevole i progressi in tale verso sono lenti e parziali, condizionati dal carattere non strettamente vincolante delle decisioni prese in quelle sedi. Il risultato frequente è quello di gruppi multinazionali che fanno scuola di best practice nelle sedi occidentali, salvo poi praticare il dumping sociale nel sud del mondo dove ha luogo la stragrande maggioranza della produzione.
Come fare dunque? Pur riconoscendo le lacune di una visione della CSR unicamente autoregolamentativa e volontaristica è altrettanto vero che un approccio regolativo mostra altrettanta debolezza nell'incapacità crescente degli Stati nazionali di incidere giuridicamente in un mondo globalizzato dove a farla da padrone sembrano essere i soggetti economici privati, in parallelo con un gap di regole a livello internazionale.
Nonostante ciò il pubblico gode di risorse ingenti rispetto alla più potente delle ONG ed è bene che continui a favorire operazioni di informazione e di moral suasion verso cittadini/consumatori e imprese. Non solo, sarebbe doveroso utilizzare con maggiore decisione il potere (dis)incentivante tramite la leva fiscale, sussidi e sanzioni in modo da favorire la diffusione delle pratiche di CSR. Quando è stato fatto i risultati sono arrivati, ci ritorneremo con casi ed esperienze concrete.

Saturday, September 12, 2009

Le conseguenze economiche della rete

Lo scenario che viviamo oggi è definito da molti società dell’informazione. Nonostante la definizione sia apparentemente monolitica, i suoi tratti principali sono in relazione ossimorica tra loro. La presenza diffusa dell’information e communication technology, infatti porta da un lato ad un sovraccarico (overload) informativo, dall’altro a nuove forme di emarginazione sociale. Contraddizione che si riscontra anche nella società dell’abbondanza, che in realtà nasconde fasce di haves e have-nots per i quali la concentrazione della ricchezza può essere misurata dall’indice di Gini. Qua potremmo distinguere tra i webbed e webbed-not. Per i primi il problema è dato, è il caso di dirlo, dall’imbarazzo della scelta. L’informazione è a portata di mano, non è più una risorsa scarsa per se. Ciò che scarseggia veramente è l’informazione rilevante (interessante, importante) per ciascuno. C’è troppa informazione inutile disponibile agli agenti economici per le loro decisioni, troppo rumore di fondo, troppa fuffa. Il web è il database più grande del mondo, ma è esperienza molto comune quella di non trovare ciò che si cerca. Questa è la ragione del successo degli “infomediari”: intermediari di informazione. Sono imprese che selezionano l’informazione rilevante e la restituiscono in maniera user-friendly. Sono Google, Bling, Yahoo! & company. L’information overload ha implicazioni per l’offerta e per la domanda. Per le aziende è infatti da una parte è complesso e costoso raccogliere informazione rilevante per prendere decisioni, dall’altra è sempre più difficile ottenere gli effetti comunicativi desiderati. L’advertising tradizionale cerca boccate di ossigeno, ma è sempre più difficile superare il rumore di fondo e raggiungere le persone. Dal punto di vista della domanda, invece, l’attenzione si fa selettiva. Il costo della ricerca di informazione in termini di tempo e soldi è minore sul web, la comparazione tra prodotti e prezzi è più semplice e di solito la rosa di alternative disponibili è più ampia. Queste, le conseguenze per l’economia dell’informazione dei webbed. All’altro estremo del filo (un doppino telefonico, se ci arriva), stanno i webbed-not. L’introduzione di una tecnologia così rivoluzionaria come internet ha effettivamente creato una nuova forma di emarginazione sociale. Le persone che non hanno accesso alla tecnologia di rete non restano coinvolte nel resto della società. La differenza tra i due gruppi è il digital divide. Le barriere che separano dall’accesso alla tecnologia sono di due tipi: fisiche e alfabetiche. Le barriere fisiche, cioè la mancanza di hardware, possono essere di natura geografica o monetaria. Alcune zone più o meno remote, infatti, non sono coperte dalla rete. Le persone che vivono in quelle aree e le attività economiche che vi si sviluppano sono isolate. Le tecnologie senza fili (Wi-max e wi-fi) potrebbero risolvere il problema in modo più efficiente rispetto al cablaggio di tutte le aree. Molte aree rurali (viene in mente l’Africa), ad esempio, hanno subito un salto tecnologico passando direttamente alla telefoni cellulare senza lo step del cablaggio. Le barriere monetarie sono invece legate alla povertà diffusa, che può manifestarsi anche in aree urbane. Le barriere di tipo alfabetico, invece, corrispondono ad una mancanza di conoscenza. La rete raggiunge le persone, ma queste non sanno utilizzare il computer o navigare in rete. È una nuova e più subdola forma di analfabetismo. Il primo tipo di barriere è relativamente più semplice da risolvere, con l’aiuto della volontà politica e di sussidi ed investimenti pubblici. Il secondo tipo, poiché riguarda l’istruzione delle persone, è da considerarsi un problema a lungo termine e a più lenta risoluzione. Cosa provoca concretamente il digital divide? I webbed-not non sono in grado di mantenere un certo tipo di relazione sociale mediata, non sono coinvolti nello sviluppo del loro Paese, faticano a trovare un impiego e nei periodi di crisi sono i più colpiti, non sono in grado di migliorare la propria condizione socio-economica e sono quindi potenziali migranti. Queste brevi considerazioni aprono un scorcio magari un po’ diverso, mettendo in luce la necessità di una responsabilità sociale degli operatori di servizi di rete e dei governi insieme a cui è richiesto di affrontare le sfide della società globale in maniera sistemica, anche garantendo l’universalità di quello che sembra essere un nuovo bisogno fondamentale.

Thursday, September 10, 2009

MTV Sticky: la youth culture è servita

Viacom Brand Solutions International ha lanciato MTV Sticky. Il payoff parla chiaro: "youth culture, trends & insight". Il sito si propone come il nuovo punto di riferimento in rete per rimanere sempre aggiornati sulla cultura degli young adults, il target prediletto di MTV, brand garante dell'operazione. L'era in cui custodire gelosamente le informazioni sulle tendenze scovate nel mondo, sperando di poter arrivare prima dei concorrenti a soddisfarle, è finita da un pezzo e Viacom ha capito il gioco. Se vuoi raggiungere la massa critica e far esplodere davvero una nuova idea, devi iniziare a diffonderla viralmente. MTV Sitcky si propone quindi anche come una piattaforma di consumer insight per altri brand che si rivolgono alla youth culture.

Wednesday, September 9, 2009

12 settembre 2009 - Plasticbag free day

Slittata di un anno al 2011 con il decreto "milleproroghe", l'eliminazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile che era stata recepita da una direttiva europea, viene di fatto anticipata dalle iniziative dei Comuni e delle associazioni ambientaliste. Torino li ha già eliminati. Il 12 settembre invece è stata dichiarata la Giornata internazionale "contro" le borse di plastica. Per approfondire, clicca qui.

Tuesday, September 8, 2009

VOW / 8 - Moltitudine inarrestabile

Il video di presentazione del meta-movimento di Pawl Hawken. Per approfondire: il libro e il sito "Moltitudine Inarrestabile" e un'occhiata al social network Wise Earth, che unisce "people, nonprofits and businesses working toward a just and sustainable world".

Monday, September 7, 2009

Il ruolo delle ONG nella CSR

Il ruolo delle organizzazioni non governative si è rafforzato negli ultimi trent'anni, sia su scala nazionale che internazionale. Questi soggetti rientrano tra gli stakeholders secondari con cui hanno a che fare le imprese, un gruppo di cui fanno parte soggetti che nell'arena sociale e politica influenzano e (de)legittimano le imprese, senza avere in essere un contratto formale con esse. La possibilità di azione delle ONG verso le imprese multinazionali, in una partita di lobbying che le vede partire nettamente sfavorite dal punto di vista delle informazioni e delle risorse economiche a loro disposizione, dipendono essenzialmente dalla loro capacità di triangolare e mobilitare affianco a sé altri stakeholders, in primis governi nazionali e consumatori.
Per quanto riguarda i governi battendo i pugni sul tavolo per una regolazione pubblica più stringente su tematiche inerenti ad esempio l'inquinamento e i diritti umani, incentivando sussidi pubblici a vantaggio delle imprese che adottano pratiche di CSR e punendo invece quelle che producono maggiori esternalità negative. Questo approccio è però fortemente limitato nella sua efficacia dal declino del ruolo degli Stati-nazione nella globalizzazione, in assenza tra l'altro di una regolamentazione internazionale in ambito di lavoro, ambiente e diritti umani. La regolamentazione e i diritti in realtà ci sono ma non hanno carattere impositivo e vincolante in tutto il mondo e questo permette alle imprese di dirottare la produzione in contesti non tutelati. Dunque l'influenza delle ONG è ben diversa a seconda del contesto nazionale e le loro richieste vengono accolte in misura maggiore in Paesi dove sono già vigenti norme sociali e sull'ambiente al di sopra della media internazionale.
Sul fronte dei consumatori l'azione delle ONG si concretizza in campagne volte ad influenzare l'opinione pubblica in modo da danneggiare la brand image della multinazionale di turno fino ad azioni globali di boicottaggio, agevolate nella loro diffusione virale tramite il tam tam di informazioni sul web. Questo approccio parte dall'assunto secondo il quale i consumatori preferiranno acquistare beni prodotti da imprese che rispettano determinati standard sociali e ambientali. In realtà le cose stanno solo in parte così: i social responsible consumers costituiscono un bacino in aumento ma ancora non così ampio come lo si tende oggi ad enfatizzare e descrivere. Inoltre anche tra gli acquirenti sensibili e coscienziosi permane un problema di informazioni, solo in parte colmato dai nuovi media. La memoria tende ad essere breve, gli acquisti sono più influenzati dal prezzo o da componenti emozionali e solo i grandi scandali tendono a produrre cambiamenti effettivi con effetti duraturi nel tempo. Infine, anche quando azioni di questo tipo ottengono gli effetti desiderati, i bersagli rimangono i grandi brand globali mentre imprese minori o operanti solo nel B2B sono esposte in misura irrilevante ai feedback negativi di ONG e consumatori.
Mettere in evidenza i limiti nell'azione delle ONG non significa però delegittimare il loro ruolo e gli sforzi che ripongono verso l'agenda politica e le scelte di consumo delle persone. Tutto questo va bene, deve continuare ma occorre anche battere nuove strade.
Guardando ad esempio agli shareholders, generalmente considerati dalla parte del nemico in quanto interessati unicamente alle performance finanziarie della società di cui detengono delle quote. Eppure il successo crescente degli ethic funds negli ultimi anni dovrebbe servire ad andare oltre una lettura miope e semplificatoria. Questi fondi d'investimento garantiscono ritorni pari o superiori a quelli tradizionali e includono al loro interno società che rispettano una serie di principi etici, sociali e ambientali. In questo caso le ONG possono giocare ruoli a livelli differenti: contribuire alla valutazione delle performance di CSR, utilizzare il loro carisma per coinvolgere i capitali degli investitori istituzionali, creare esse stesse dei nuovi fondi. Lo spazio come dicevamo, c'è.

Friday, September 4, 2009

Il web e la funzione liminale della comunicazione pubblica

In una società in rapido mutamento la comunicazione di pubblica utilità diventa uno dei fattori fondamentali alla base di un nuovo patto di cittadinanza. In ogni divisione della pubblica amministrazione, le relazioni esterne dovrebbero essere concepite ed organizzate come una funzione strategica e professionale (Rolando). Non è strategica quella funzione il cui ruolo è semplicemente di “confezionare” l’informazione pubblica e politica. Queste sono le funzioni di un’agenzia di comunicazione, o meglio del press agentry model of PR di Grunig. La comunicazione procede dall’alto al basso a una via. Una funzione strategica, al contrario, è capace di contribuire al più ampio processo gestionale, fornendo ai decision-makers informazioni rilevanti, know-how professionale e tecniche, tra cui elementi di marketing e polling (sondaggio dell’opinione pubblica). La comunicazione pubblica costituisce le antenne della pubblica amministrazione sull’ambiente esterno, sui bisogni e desideri della società, ma ha anche una funzione di comunicazione organizzativa come definita da Invernizzi. La condizione per una comunicazione pubblica professionale è la definizione dell’identità e della mission dell’organismo pubblico, il blueprint dei servizi forniti, l’organigramma e le politiche di impiego, carriera ed incentivi. Questi ultimi in particolare costituiscono il DNA per favorire i cambiamenti organizzativi e l’innovazione. L’implementazione di un flusso di comunicazione bidirezionale per le relazioni esterne, infatti, implica un flusso parallelo che scorre internamente. Implica un’azione di marketing interno, poiché gli impiegati della pubblica amministrazione sono i primi destinatari ed i soggetti centrali della sfida del cambiamento, del miglioramento dell’efficienza e della qualità del servizio, mantenendone l’universalità. Se dal punto di vista normativo le indicazioni sono chiari, il rapporto che molti cittadini sentono di avere nei confronti della PA, resta comunque basato su un’esperienza molto diversa, pur con punte di eccellenza che, bisogna dirlo, non ricevono la dovuta attenzione. Alla luce di ciò, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscono una enorme opportunità per le organizzazioni pubbliche. Prima di tutto, verso l’esterno, la possibilità di un mezzo di comunicazione interattivo (digital divide permettendo, dato che la PA deve comunicare con tutti i cittadini, anche chi non sa utilizzare o non può permettersi un pc connesso a internet). Insomma, basta siti vetrina e basta aspettare un giorno per ricevere risposta ad una e-mail! Ma questo è solo l’inizio. Vuol dire capire le potenzialità della rete solo a metà. Infatti, seguendo il trend che ha caratterizzato l’e-commerce, bisogna sviluppare piattaforme basate sulla rete per transazioni ed erogazione di servizi online. È questa l’occasione per creare forme di e-government che migliorino la qualità, l’efficienza e la velocità dei servizi forniti dal settore pubblico alle persone ed alle imprese. Il ruolo liminale (di confine) della comunicazione pubblica come interfaccia tra l’interno e l’sterno delle organizzazioni, qui emerge di nuovo. L’erogazione di servizi internet-based, infatti, va di pari passo con la costruzione di supporti informatici tipo databases e datawarehouses che possono costituire la base per sistemi di knowledge management da utilizzare sia per il back office e per il front office. Le condizioni organizzative che favoriscono il successo di soluzioni integrate di e-government sono un orientamento alla customer satisfaction e al servizio, un’organizzazione flessibile per processi o attorno a progetti, l’affiancamento continuo del cambiamento con piani di change management gestite dal team di comunicazione. Infine, sempre guardando all’esempio aziendale, l’e-procuremement costituisce un’altra opportunità poco sfruttata dalla PA.

Wednesday, September 2, 2009

Voglia di emozioni

Immaginate di leggere ogni giorno i diari di milioni di persone e di scoprire che cosa dicono, ma soprattutto che cosa provano, le emozioni, i sentimenti, ogni sfumatura di sensazione... Sembra impossibile? No, se i diari sono dei blog e se state usando We Feel Fine. Questo progetto affascinante raccoglie dati sulle emozioni di chi è online, le frasi che usiamo per esprimerle e le fotografie per rappresentarle. Insomma è possibile "tastare il polso" della rete in tempo reale.

Tuesday, September 1, 2009

VOW / 7

Cosa c'è di più intangibile del software? Se poi è open, ancora meglio! Coderush racconta di come Mozilla si è trasformato.