Pochi giorni fa la legge sull'energia voluta dal presidente Barack Obama ha ottenuto il si dalla maggioranza della camera dei rappresentanti ed ora passerà al giudizio del senato federale in modo da ottenere l'approvazione dell'intero congresso. Al centro la riduzione dei livelli di C02 tramite un meccanismo di cap and trade che fissa i tetti di emissione ma permette all'imprese l'acquisto e la vendita dei permessi di inquinamento. Per ora un passo importante da parte di un player centrale nella lotta al global warming, problema su cui l'amministrazione Bush ha sempre fatto orecchie da mercante. Meglio di niente, ma non si tratta del passo decisivo verso la energy revolution prospettata dal presidente USA in campagna elettorale. Il tempo di carbone, petrolio, gas naturale e uranio è arrivato al tramonto. Il fatto che questo tramonto durerà diversi decenni e che non c'è accordo unanime su quando scatterà l'ora X (2020? 2030? 2050? Non oltre!) non toglie che la politica a livello nazionale e internazionale ha il dovere di imporre il cambio di passo ora. Trent'anni non sono molti per imprimere e gestire una rivoluzione di questo tipo. I leader politici non sembrano invece avere il coraggio ne la fantasia per parlare di tutto ciò, fatte le recenti eccezioni di Obama e dei verdi francesi guidati da Daniel Cohn-Bendit. I risultati della corsa alla Casa Bianca e delle elezioni europee parlano da sé, mettere al centro il green è l'unica cosa da fare per salvare il pianeta e paga anche elettoralmente, quindi non si capisce dove tutti gli altri vivano, se sono vivi, e cosa stiano aspettando. Quattro problemi però rimarranno stabili e imporranno il corso delle cose: economia globale in recessione, instabilità politica internazionale, petrolio in rapido esaurimento, cambiamento climatico. Quattro macigni legati in maniera intrinseca alla dimensione hard della modernità politica ed economica. Nell'architettura il passaggio dalla modernità alla postmodernità viene fatto risalire simbolicamente alla distruzione del complesso Pruitt-Igoe di Saint Louis, costruito sul modello della macchina per abitare di Le Courbusier, avvenuta nel 1972. Dal punto di vista economico la transizione è avvenuta solamente in parte, la globalizzazione dei mercati e delle reti informatiche è sclerotizzata in sé stessa e rischia l'implosione proprio perché continua a poggiarsi e ad andare avanti su energie e risorse del passato. La rete viene incontro al green molto di più di quanto non abbia già fatto verso le economie: satelliti, wireless, reti open source sono tasselli di distruzione gerarchica del potere che in cambio offrono un sistema nervoso costruito sul web, il potere è distribuito. La concentrazione è roba da carbone e seconda rivoluzione industriale. L'energia nucleare è un abbaglio pericoloso che ha già fatto il suo tempo, è il tentativo di prorogare il modello della concentrazione, dell'energia delle elites che presuppone investimenti geopolitici e militari, capitali enormi e centralizzati, vittime umane in guerra a far da sfondo. La rivoluzione informatica sta invece convergendo con quella energetica, un'energia distribuita. E dove sta l'energia distribuita? Nel nostro giardino. Sole, vento, scarti agricoli, maree, calore sotto terra. Come raccogliere e distribuire tutto questo ben di dio ove fosse necessario? Con gli edifici. Con le aziende, con casa tua. Ciascun edificio è un potenziale nodo di una rete ampia e globale. L'idrogeno è il carrier universale che permetterà di immagazzinare l'energia raccolta e distribuirla. La stessa funzione (rivoluzione) del digitale applicato all'energia. Ognuno si crea la sua energia pulita poi idrogeno e contatori penseranno a gestirla lungo la rete dove questa è necessaria. Tutta questa roba esiste già, anche la nostra Enel ce l'ha. Per abbracciare questa rivoluzione non basta però diffondere i benefici dell'innovazione tecnologica in materia, siamo di fronte ad un cambiamento che parte dalle nostra mente, dal modo con cui ci rapportiamo agli altri nella biosfera sociale e politica. Per fortuna la rete ci ha preparato in questi anni al cambiamento, il modello orizzontale del peer to peer sarà quello della terza rivoluzione industriale e non potrà che partire dall'energia. Le parole d'ordine sono condivisione e distribuzione, share and distribute. Il grosso server centrale è un mito vecchio e defunto. Unicentrismo, unipolarismo, monismo sono concezioni barbare che riflettono modi di gestire il potere e affrontare la realtà che fanno a pugni con la complessità e la postmodernità. In inglese la parola power si riferisce allo stesso tempo a energia e potere. L'energia é potere, da sempre è così. La comunità europea nasce nel secondo dopoguerra con l'obiettivo di gestire questo tipo di potere, la Ceca e l'Euratom ponevano la gestione congiunta di carbone, acciaio e energia atomica come policy fondativa della nuova Europa unita. Oggi la stabilità dell'euro tiene in vita il mondo, l'Europa è l'economia principale ma soffre di un complesso di inferiorità perché non ha altrettante risorse hard da mettere in campo per dire la sua e fare la voce grossa come Cina e USA. Il punto è che non ha senso inseguire un treno in corsa su un binario morto, sarebbe meglio invece dare il là al cambio di paradigma. Alla terza rivoluzione industriale. Con il sole italiano, il vento irlandese, le biomasse polacche. Tutto questo si può fare oggi. Alla Pepsi hanno ristrutturato alcune delle loro fabbriche per creare energia attraverso scarti e sole. In Aragona, General Motors ha usato il tetto di un suo stabilimento Opel per creare la più grande stazione solare del mondo, rendendo autonoma la fabbrica e fornendo energia pulita a 47 mila case circostanti. Dieci anni di tempo per ripagare il tutto, dopodiché energia gratis per sempre, la domanda è: perché non ovunque? Ad Abu Dhabi verrà messo in piedi un edificio che ruota costantemente come un serpente, non hanno il senso del limite, alimentato al 90% dall'eolico e al 10% dal solare, l'architetto che l'ha ideato è italiano. Perché non in Italia?
Tuesday, June 30, 2009
Il futuro di Emule è verde
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