Il modello sociale basato su obiettivi uguali per tutti è arrivato al capolinea. Si rivelato un clamoroso fallimento dal punto di vista politico, economico e sociale. Ma la questione è prima di tutto etica. Che una società giusta ed equa sia quella in cui tutti i cittadini sono uguali è un valore incontrovertibile. Ma garantire l’uguaglianza non significa imporre a tutti gli stessi obiettivi: questo è un giocare al ribasso. Significa invece essere liberi di definire il proprio sé in relazione alla società che cambia, crearsi un progetto di vita e avere l’accesso a tutti i mezzi disponibili per realizzarlo pienamente, secondo le proprie capacità. Definire un punto di arrivo uguale per tutti significa necessariamente porre un limite ai sogni ed alle reali possibilità di qualcuno e indicare al contempo un traguardo difficilmente raggiungibile per molti altri, creando così la necessità di un ingente flusso di risorse per sopperire ad una situazione artificiale che, in un conato autogiustificatorio, non raggiunge altro scopo che quello di alimentare la disuguaglianza e la pressione sociale. Questa via non è più praticabile né tanto meno sostenibile. Una società giusta ed equa è quella in cui tutti i cittadini hanno uguali condizioni di partenza, non di arrivo. Soltanto sostenendo, premiando ed incentivando il merito, si possono reperire le risorse per intervenire sul bisogno. L’alternativa è la morte del bene pubblico, l’assenza di aspirazioni e di incentivi a migliorare, l’attesa apatica, patetica e opportunistica di un minimo garantito. Il moral hazard, il fallimento di ogni forma di mercato e di società. La ragione di esistere dei soprusi e dell’immobilità sociale legata al censo e alla “robba”. Un individualismo arido e la triste idea che vivere allora significa avere. Tutto questo, non è giusto, non è democratico, non è bello. A ciò si deve preferire la società dell’essere. Essere felici. La felicità si raggiunge con l’autorealizzazione, con il compimento del proprio disegno di vita delle proprie aspirazioni.
La società postmoderna e globale impone nuove sfide sugli scenari della competizione internazione e ci presenta un cambiamento radicale nei rapporti tra cittadini e politica. L’affermazione dei valori dell’individuo passa attraverso meccanismi identitari inediti, come quelli del consumo e dei network relazionali personali e mediali. Per evitare derive solipsistiche bisogna intervenire strutturalmente sulla società introducendo la variabile merito. Un solido, trasparente e libero sistema di incentivi che sviluppi una concorrenza interna virtuosa, basata sulla conoscenza, sulle diverse tipologie di intelligenza, sulla creatività e sull’iniziativa. Il capitale più prezioso che si possa desiderare è quello costituito dalle risorse immateriali. Conoscenza e fiducia si perseguono sostenendo, premiando ed incentivando il merito. Solo così si potrà costruire un sistema di welfare sostenibile ed equo. Non un limbo da cui è impossibile o non conviene uscire, ma un affidabile tappeto elastico che rimbalza prontamente nel gioco chi è caduto, con un nuovo slancio; uno stato sociale che, ricco delle risorse stimolate dal merito, sostiene l’ineliminabile dinamica del bisogno in modo equo e non discriminatorio. Non sarebbe bello essere liberi di sognare, di costruire, di arrivare dove possiamo? Essere felici?
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